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Articolo: L'ELEGANZA SUSSURRATA

L'ELEGANZA SUSSURRATA

Ci sono destini che sembrano scritti nella luce. Guido Taroni è uno di quei rari casi in cui il talento non è solo una conquista, ma anche un’eredità luminosa. Pronipote di Luchino Visconti, nipote di Giovanni Gastel, Taroni cresce immerso in un universo dove arte, immagine e bellezza sono linguaggi familiari, quotidiani. La sua fotografia – sospesa, raffinata, colta – porta con sé il respiro del cinema viscontiano, la precisione lirica del ritratto d’autore, la naturalezza della luce che accarezza piuttosto che colpire. I suoi scatti di interni non cercano mai l’effetto: sono piuttosto inviti silenziosi a entrare in un mondo fatto di emozione e armonia, dove ogni volto, ogni dettaglio, racconta un’estetica intima e senza tempo.

 

Amante della gentilezza e con uno stile di sobria eleganza all’italiana, Guido ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita e nello sviluppo di Cabana Magazine, la celebre rivista di interior design fondata da Martina Mondadori nel 2014. All'epoca, era un giovane fotografo emergente, ma la sua sensibilità estetica colpì immediatamente Mondadori, che lo coinvolse nella realizzazione del primo numero della rivista. In un'intervista, Martina ha ricordato: "Lo chiamai per un pranzo e lui capì subito cosa intendevo. Parlavamo la stessa lingua. In sole tre settimane, fotografò tutti i luoghi che avevamo selezionato". Da allora Guido è rimasto un punto di riferimento visivo per la rivista Cabana (è Interior Editor), e ha inoltre pubblicato innumerevoli volumi fotografici con alcune tra le più prestigiose case editrici tra cui Rizzoli e Vendome Press.  Lo abbiamo intervistato per questo shooting con Fortela, ambientato sulle rive del lago di Como, luogo magico che lo ha visto crescere: la sua bisonna Carla Erba era di “casa” a Cernobbio, nella rinomata Villa Erba, fulcro di una mondanità vivace e colta. 

 

 

Com’è nata in te questa passione per la fotografia di interni?
Penso un po’ inconsciamente. È stato un ritorno naturale, forse, alla ricerca di ciò che ho sempre visto e allo stile che mi ha circondato, stile che permeava i luoghi dove sono cresciuto: parlo dell’attenzione che i miei genitori hanno sempre avuto per il mondo degli interni. O meglio, dell’attenzione che avevano per la bellezza.
In primis direi che ho eredito la visione di mia madre e di mio padre, che sono stati due amanti degli interni, in modi diversi. Lei (Anna Gastel, donna simbolo della vita culturale milanese ed italiana, ndr) era una “decoratrice d’interni per passione”, non per professione, lei era una storica dell’arte, esperta di teatro e musica. Ha fatto le “sue” case, e le ha fatte con un gusto eccellente. Sapeva trovare il posto giusto per ogni cosa. E quando trovava il posto giusto, l’oggetto acquistava un nuovo valore, il suo. È la stessa cosa che devo fare io con la fotografia: devo sentire che quella è la posizione giusta, che quella è la luce giusta. Un misto di istinto e educazione visiva.
Mia madre era abbastanza rapida nel decorare: mischiava cose di famiglia con cose trovate ai mercati, alle aste, in giro… spesso dalle cantine spuntavano anche mobili in pessime condizioni, ma poi ammaliando i suoi amati artigiani ritrovavano la loro nuova vita. Stoffe antiche o foulard che non usava più diventavano bellissimi e sofisticati paralumi… era molto creativa e questo gusto me l’ha trasmesso. Mi diceva sempre: “Quando arredi una casa ti diverti tantissimo a scegliere e armonizzare tra loro colori, oggetti, stoffe e ti sembra che il processo creativo non finisca mai… Poi un giorno ti guardi intorno, sistemi quell’ultimo oggetto e dici “ecco, ho finito”. E ti godi quel respiro e quella pace.” Quella sensazione di pienezza la provo anche io quando so che ho lo scatto giusto, quando ho “finito” il mio lavoro.

 

E tuo padre invece?
Papà, rispetto a mamma, ha uno stile diverso. Mi rendo conto che in me ho come una commistione dei due, e questa cosa mi fa tenerezza, mi piace molto. Mio padre Giorgio è un uomo elegante e semplice, “understated” si direbbe, ma è in grado di essere anche molto scenografico. È capace, tramite i colori con cui è cresciuto a stretto contatto (perché viene da una famiglia di pittori), di creare ambienti magici e giardini unici. Lui disegnava tessuti, e standogli accanto il suo colore ha contaminato il mio lavoro. È anche un art dealer e un grande collezionista: di coleotteri, di cartoline, di monete, di quadri del lago… ha tantissimi interessi e collezioni! Sono tutte il frutto di questa continua ricerca di ispirazione e di bellezza. Perché papà, lavorando a dei progetti così creativi in un’epoca in cui ancora non c’erano i computer, e aveva come prima fonte d’ispirazione i libri, le illustrazioni, i disegni, e la natura. Ha un archivio immenso di immagini. Sono la sua risorsa. 

 

 

 

Due nature, quelle dei tuoi genitori, che convergono nel tuo lavoro…
Si. Devo ammettere che non avevo pensato di fare il fotografo, non come mestiere. Quando ho iniziato a fotografare, per puro piacere, un po’ naturalmente fui spinto a frequentare lo studio di mio zio Giovanni Gastel (famoso ed apprezzato fotografo di moda e di costume italiano, il fotografo “dell’eleganza”, scomparso nel 2021). Ho avuto la possibilità di lavorare con lui, un grande onore per me. E così, dopo uno stage di fotografia presso lo studio d’architettura e d’interni Sancassani sono approdato da “zio Gio”, nel suo mitico studio di via Tortona. In studio passavano modelle famose, attrici, gli abiti di alta moda, trucchi, gioielli… insomma era un mondo molto stimolante per un giovane come me. Io sono cresciuto con l’idea di avere, un giorno, un studio tutto mio. All’epoca era normale poterlo pensare. Ma quelli erano gli anni in cui la moda era “di moda”. E io pensavo, o meglio speravo, di diventare un fotografo, nel 2020, con le stesse possibilità che aveva un fotografo degli anni ’80. Grande errore: la moda è cambiata, anzi di più, la moda in Italia è completamente cambiata. I tempi sono cambiati, del tutto. Quando mi resi conto che le cose per me non avrebbe funzionato come mi ero sognato, ammetto che l’emozione e lo stimolo un po’ si spensero. Lavoravo per tante riviste all’epoca, ma la fiamma si affievoliva, sempre di più. 

 

E poi cosa è successo?
Poi ho fatto la mia prima mostra, Sogni Sospesi, che era legata all’arte, alla famiglia, al colore, ai vestiti della mia bisnonna Carla Erba… e lì mi è tornata un po' di autostima. Ho pensato: forse qualcosa riesco a farla. E mi sono mosso verso gli interni. Fu mia madre a spingermi. Mi diceva: “Perché non fotografi gli interni? Hai un occhio spiccato!” (Ci confrontavamo e commentavamo spesso interni, case, andavamo insieme a scegliere stoffe…). Mi ripeteva: “Perché non fai foto di case? Saresti così bravo!” La mia risposta era sempre un po’ titubante. Mi sembrava un mondo che non avesse bisogno di un’interpretazione. Poi, invece, ho capito che avrei potuto metterci del mio in quegli interni. Che c’era modo di interpretarli. È stata una scoperta che mi ha fatto innamorare di questo settore della fotografia d’interni. 

 

Come descriveresti il tuo stile?
Non so se ho uno stile ma in tutto questo tempo ho cercato un modo mio di vedere il mondo attraverso la macchina fotografica. Probabilmente il mio modo esce un po’ dall’ordinario, dagli schemi canonici. Più volte mi interrogavo: “piacerà”? Nel corso degli anni mi sono reso conto che la mia stessa emozione quando fotografavo arrivava al fruitore del mio scatto. L’emozione vince spesso sulla regola: mi capita di scattare controluce, di sfocare volutamente o scattare tecnicamente non in modo corretto, ma se quello sbagliare serve ad acuire la sensazione ecco che lo catturo, come in un film. Catturo l’emozione. Mi sento felice, realizzato. Perché arriva questa sensazione dell’imperfetto, che poi è la vita. La verità del mondo in cui stiamo. Per questo i luoghi che fotografo cerco di raccontarli così come sono, senza alterarli troppo. Ognuno, in fondo, dispone i suoi oggetti a modo suo. Se arrivo io e li sposto a modo mio… c’è troppo di me. Mi affascina la diversità. Se devo raccontare una casa mi piace raccontarla, così com’è, veritiera. L’ avventura è partita con Cabana, quando Martina Mondadori mi ha chiesto di scattare per il primo numero del magazine, ed è proseguita con innumerevoli libri fotografici, che mi hanno portato in giro per il mondo. Ho la fortuna di vedere posti straordinari, e di conoscere nuove culture… è il più bel lavoro che avrei potuto desiderare nella mia vita!

 

 

Cosa pensi dell’idea di stile di Fortela?
Mi ha colpito l’eleganza della sua semplicità e, alla fine, della sua classicità. Perché è un’eleganza sussurrata. Non è mai chiassosa, ha il giusto equilibrio, che è quello che piace a me. Quando Alessia Giacobino mi ha chiesto di farmi delle foto, ho trovato una bella selezione di capi senza tempo: il vestito verde salvia, ad esempio, sembrava uno dei miei abiti. Mi sono sentito a mio agio subito. Conosco Alessia da molti anni e condividiamo le stesse passioni: l’amore per gli interni e per il dècor, per certe luci di sbieco, i mobili antichi e la fotografia d’autore, e amiamo tutti e due un certo modo di vivere e di intendere lo stile. Come si vede nel bellissimo store di Fortela, dove si respira un’atmosfera particolare, unica, molto personale, frutto di ricerca e di un occhio coltivato nel bello ( Alessia nasce come architetto e interior designer, ndr). Lì ho trovato abiti dai colori molto eleganti e capi semi-sartoriali che dureranno per la vita!

 

Progetti futuri?
Sta uscendo il mio prossimo libro, che è già in pre-ordine, con la casa editrice Vendome Press, si chiamerà Inside Sicily, un progetto sulle case di ispirazione siciliana. Non ci saranno solo palazzi barocchi, ma anche dimore sparse sulle piccole isole o nell’ entroterra… un libro di case vissute in giro per la Sicilia, toccando tanti territori diversi. Lo presenteremo a settembre. Sto ultimando anche quello che ho fatto sull’India, anzi sulle più belle destinazioni del Rajhastan Rajasthan Style, vecchi palazzi di maharaja in città e in campagna, con un focus anche su stupendi campi tendati.